Sotto le macerie non ci sono più gemiti

L’AQUILA – La paura della terra che trema è poca cosa di fronte alle gambe che si bloccano per il terrore di quello che vedi, qui all’Aquila. C’è un salto di sensazioni ed emozioni, entrando in città: dal caos di piazza d’Armi, una volta superati i blocchi delle forze dell’ordine, è come se si entrasse in un altro pianeta, ovattato, una specie di città fantasma: ma dietro gli angoli, all’improvviso di aprono scenari di tragedia, dove il silenzio è squarciato dalle sirene delle ambulanze, dal rumore delle ruspe, dal vociare dei soccorritori. Via XX Settembre è un teatro di guerra. Una palazzina di quattro piani si è sbriciolata, ripiegandosi su se stessa come un castello di carte, un’ala della casa dello studente, sopra le mensa universitaria, è venuta giù, palazzi e piccole abitazioni sembrano colpite da granate da guerra; lungo le traverse altre scene di morte: in via D’Andrea due piccoli condomini sono crollati l’uno sull’altro, si cercano due bambini e scavando con ansia, si trovano abbracciati con la loro mamma. Sarebbe stato impossibile salvarli, le macerie non hanno dato loro scampo. Tra i soccorritori, i famigliari degli studenti cercano conforto anche soltanto in uno sguardo, in un cenno. E quando dalla polvere e dalla macerie escono corpi, per fortuna alcuni di queli ancora in vita, è una corsa a riconoscere i propri cari. C’è una solidarietà partecipe tra chi si trova qui per i diversi motivi: basta un cenno, e tutti fanno silenzio. Tutti fanno silenzio per "scavare con le orecchie" alla ricerca di un gemito, di un ultimo contatto con il mondo dei vivi. Ma purtroppo, più passano le ore e lì sotto non ci sono più gemiti. A sera la fatica è tanta, ma sfugge via, quasi vergognosa, al pensiero dell’amico Giustino, al quale il destino, in 20 secondi, ha strappato tutto il succo della vita, la sua famiglia. (robalm)