Gran Sasso: scoperta vita microbica sul ghiacciaio del Calderone

TERAMO – C’è vita microbica nel ghiacciaio del Calderone, sul Gran Sasso. E’ la scoperta emersa da uno studio condotto da tre gruppi di ricerca dell’Università di Perugia, di Milano e dell’Ente Italiano della Montagna. Per lungo tempo gli ambienti glaciali sono stati considerati così inospitali da essere virtualmente privi di vita. Nei ghiacciai, in particolare nel ghiaccio e nei sedimenti glaciali, sono presenti condizioni tali da rendere la vita microbica estremamente difficile, se non impossibile a causa dell’assenza di luce, di temperature spesso al di sotto di 0°C, e della scarsità di ossigeno e di nutrienti. Tuttavia, alcuni microrganismi sembrano in grado di vivere nonostante condizioni così difficili. E’ quanto emerso sul ghiacciaio del Calderone dove i ricercatori hanno messo in evidenza la presenza di cellule vive di lieviti intrappolate nel ghiaccio e nei sedimenti glaciali, mettendo così in luce la presenza di vita microbica in ambienti tanto inospitali. La presenza di questi microrganismi (definiti psicrofili, cioè in grado di vivere a bassissime temperature) è risultata estremamente diffusa in questi ambienti, grazie alla loro elevata capacità di sopravvivenza, probabilmente dovuta a specifici meccanismi di adattamento fisiologico. Dallo studio effettuato è infine emerso che alcune delle specie di lieviti presenti sono state precedentemente osservate in ambienti polari (Artide ed Antartide). Ciò appare sorprendente, poichè il ghiacciaio del Calderone, il più meridionale d’Europa, è attualmente considerato un ghiacciaio in via di estinzione. La scoperta di lieviti psicrofili in questo habitat getta pertanto una nuova luce sulla permanenza di habitat glaciali alle basse latitudini, tipiche degli ambienti mediterranei. Lo studio, oltre a presentare i risultati e i contenuti conoscitivi della scoperta, soprattutto per le implicazioni ecologiche, evidenzia, ancora una volta, la peculiarità dell’ambiente d’alta quota del Gran Sasso d’Italia, in cui non soltanto il ghiaccio e la roccia sono gli oggetti di studio privilegiati nel laboratorio naturale più alto degli Appennini e, forse, d’Europa, ma la vita stessa, nelle sue forme più piccole e semplici.