Michele Placido a Teramo con il Re Lear

TERAMO – Il Teatro Comunale di Teramo ospita domani alle 21 e in replica mercoledì alle e 17 e alle 21, il primo appuntamento della Stagione di Prosa della “Primo Riccitelli”. In scena il “Re Lear” di William Shakespeare con Michele Placido per la regia di Francesco Manetti e dello stesso Placido. Al principio del XVII secolo le teorie di Keplero, Galilei, Hobbes, unite alle idee di Giordano Bruno ed altri, stavano prepotentemente rivoluzionando il modo di vedere il mondo da parte dell’uomo. Improvvisamente la Terra diveniva una parte infinitesimale del creato, non più al centro dell’universo, ma una “palla di terra e acqua” vagante nell’infinito. Shakespeare sembra assorbire questo sentimento terrorizzante dell’uomo di fronte al Cosmo, per restituirci quell’immensa metafora della condizione umana che è il Re Lear. All’inizio del dramma Lear rinuncia al suo ruolo, consegna il suo regno nelle mani delle figlie, si spoglia dell’essere Re, pilastro e centro del mondo, per tornare uomo tra gli uomini. Ma questa scelta viola le regole che organizzano l’universo, così il mondo va fuor di sesto, e quel che ne segue sono “azioni innaturali che generano tormenti innaturali”: figli contro padri, follia, violenza, nel contesto di una natura sconvolta e tutt’altro che benigna. Ma perché tutto questo? Che cosa muove i personaggi? Nonostante nel Re Lear si possano individuare tanti temi quanti sono gli aspetti dell’essere umano, io credo che il motore fondamentale di questa tragedia da fine del mondo, sia l’amore. Lear è una tragedia dell’amore, tutti vogliono amore, tutti pretendono amore, un amore abnorme, che porta distruzione e morte, crea mostri. Lear esige dalle figlie che espongano in parole il loro amore per lui, ma Cordelia, la più piccola, sa che l’amore, il vero amore non ha parole e alla richiesta del padre può rispondere solo: “niente, mio signore”. È questo equivoco, questo confondere l’amore con le parole, che, nel momento in cui le altre figlie si mostreranno per quello che sono, farà crollare Lear rendendolo pazzo. Ma tutti i personaggi sono mossi dall’amore: misterioso, tenero, spietato è quello che lega il Matto al suo Re, estremo e disposto ad ogni sacrificio è quello di Edgar per il padre, virile e diretto quello di Kent per il suo signore. Libidinoso quello delle sorelle Reagan e Goneril per il giovane in ascesa Edmund. Ed anche lui, Edmund, il più gelido e calcolatore dei cattivi Shakespeariani, nel momento estremo della sua morte, si consolerà dicendosi “eppure Edmund fu amato”, teneramente confondendo amore ed eros. Ed infine Cordelia, inizio e fine del tutto, incapace di tradurre in parole i propri sentimenti, ma capace di agire, di mettersi a capo di un esercito e correre in aiuto del padre, sarà lei il necessario capro espiatorio, colei che dovrà morire per redimere attraverso il suo amore buoni e cattivi, vivi e morti. In ultimo ciò che resta è un paesaggio di rovina e morte dalle cui macerie, faticosamente, riemerge Edgar, un ragazzo reso uomo dall’aver attraversato terribili prove, sta a lui costruire il futuro dell’umanità e le sue ultime parole ci ridanno speranza nel genere umano: bisogna dire ciò che sentiamo, non ciò che dobbiamo.