TERAMO – Con una fine ingloriosa e soprattutto al riparo da occhi e orecchie indiscreti, l’assemblea straordinaria dei soci ha staccato la spina alla Banca di Teramo, decretandone la scomparsa, con la incorporazione nella Banca di Castiglione Messer Raimondo. Sono arrivati in 500 a Sant’Atto, per provare a dire la loro su una operazione che sì rappresenta l’àncora di salvezza per management, personale e conti correnti, ma sicuramente segna l’ennesimo autogol di un capoluogo e di una provincia che ormai hanno ben poco più da difendere.
I volti tirati e l’apparente tranquillità della vigilia del voto dell’assemblea, sono stati traditi dall’ultima caduta di stile della Banca che fu dell’onorevole Tancredi: a differenza di quello che accade a Castiglione e in tutte le assemblee bancarie – la Tercas per l’ultima riunione, quella del passaggio a Popolare di Bari, organizzò un’audioconferenza apposta per i media -, alla stampa è vietato l’ingresso in sala, per decisione del presidente Cristiano Artoni. E così, appestati come i soci teramani cui saranno vietati ruoli negli organi sociali della nuova banca per almeno sei anni, non abbiamo potuto testimoniarvi cosa è accaduto nel confronto con i soci, non abbiamo potuto raccontarvi della relazione che doveva essere del direttore generale che però non c’è più, degli interventi molto critici di chi ha chiesto il conto a chi ha portato la banca allo sfascio: 53,7 milioni di euro di sofferenze, un deficit di bilancio vicino ai 10 milioni di euro dopo rettifiche per 13 milioni. L’eco all’esterno della sala polifunzionale di Sant’Atto riporta di minacce, più o meno velate, di molti soci di ricorrere alle vie legali per chiarire le responsabilità. Ma questo non appartiene più alla storia della defunta Banca di Teramo.
Altro clima si respirava nel pomeriggio a Castiglione Messer Raimondo, dove l’assemblea profuma di serenità, di condivisione e partecipazione. Che si svolge con l’esposizione del progetto di fusione, che viene approvato con pochissimi voti contrari, a testimonianza di una operazione che il presidente Alfredo Savini ha gestito con grande realismo economico-finanziario e con l’orgoglioso consenso della massa di soci incredula per aver fatto boccone della Banca del capoluogo. Sotto gli occhi di presidente e vicepresidente della Banca che fu, si sciorinano i dati del nuovo colosso regionale delle Bcc: 22 sportelli e 146 dipendenti, su un territorio di quasi 700mila abitanti, masse amministrate pari a quasi 2 miliardi di euro e un patrimonio di 65 milioni di euro, dei quali ben oltre 30 milioni di “patrimonio libero” e un indice di solidità patrimoniale (Total Capital Ratio) di circa il 18%. Castlglione ride, Teramo piange: adesso si aspetta la conta dei soci in fuga, alle prese con un risibile indennizzo delle quote