Il crollo del Pd. Di Matteo chiede le dimissioni di D'Alfonso, gli orlandiani quelle di Rapino

TERAMO – Il numero spiega meglio di tutto cosa è successo al Pd anche in Abruzzo: nel 2013, alla Camera, i Dem in coalizione con Sel e Centro democratico ottenne il 26,2% e di quel totale la frazione del Pd era del 22,5%. Dopo cinque anni, il passo indietro appare chiaro: 14,4% è l’inclemente numero raggiunto nella circoscrizione Abruzzo. 
Adesso è il tempo dei processi o, meglio della resa dei conti. Il primo a trarre conclusioni è l’assessore regionale Donato Di Matteo, malpancista noto di recente nell’esecutivo di D’Alfonso. Che proprio del Governatore neoeletto senatore adesso chiede le dimissioni: «Il risultato del Pd e del centrosinistra in Abruzzo – dice – è stato più negativo di quelle che potevano essere le previsioni e del risultato nel Paese, e per questo credo che il presidente della Regione D’Alfonso abbia un’unica strada che è quella delle dimissioni per lanciare un segnale di serietà dopo la sconfitta, dando dimostrazione di umiltà e di coerenza di fronte a questi risultati». Per Di Matteo «questo è il risultato figlio di chi ha governato con arroganza la Regione. È stata sbagliata l’impostazione perché non si capito quale è il ruolo dell’amministratore regionale e oggi ne paghiamo le conseguenze con una sciagura a livello politico».
Allo stesso modo, è la componente orlandiana che chiede al segretario regionale Marco Rapino di farsi da parte, presentando dimissioni che appaiono adesso «inderogabili – scrive Michele Fina -. C’è bisogno di un partito perché le idee politiche non sopravvivono se legate esclusivamente al mero esercizio del governo. Anzi si corrompono, snaturano, astraggono. C’è bisogno di un partito democratico. Ma la democrazia – scrive il rappresentante della mozione Orlando – è tale se contempera il principio della maggioranza e il rispetto e la tutela delle minoranze. In Abruzzo questo non c’è stato come non c’è stato il rispetto dei territori e delle loro istanze. Le scelte compiute sono state esclusivamente dettate da arroganza e da rendite di posizione. Cinicamente noncuranti del rischio che il nostro patrimonio di valori e che lo stesso interesse generale del Paese stavano correndo».