Cittadella della cultura: la firma di un archistar su un'idea che parte dai teramani

TERAMO – Anche se i tempi che separano da qui all’avvio del cantiere possono sembrare lunghi ed è forte la diffidenza sulla possibilità concreta di vedere nascere un progetto tanto ambizioso, chiudendo gli occhi potremmo immaginare una nuova piazza pubblica, fulcro della quotidianità del centro storico, dove trascorrere buona parte della giornata teramana. Senza sognare la londinese Covent Garden o il parigino Centre Pompidou, la Corte delle Recluse della futura ‘cittadella della cultura’ nel complesso dell’ex manicomio di Porta Melatina  potrebbe essere tutto questo. Con una vecchia via Getulio ad aprirsi verso il Vezzola, magari arricchita di piccoli locali che guardano sulla nuova piazza e di fronte all’ampio teatro all’aperto dietro e alla torre scenica, lanterna notturna della città. Il pezzo forte dell’idea progettuale vincitrice del concorso di idee bandito dall’Università di Teramo rilancia il ruolo di città propri attraverso questa ‘apertura, verso l’esterno. Il progetto abbatte il superfluo e riconsegna alla città l’antico spazio degli orti urbani che proprio le costruzioni dell’ex manicomio avevano recluso dentro le mura. C’è anche la riesumazione della storia, oltre alla conservazione del patrimonio che fu dell’ospedale psichiatrico in tutti i suoi precedenti utilizzi a partire dalla fondazione del 1323.
Questo è possibile, secondo la valutazione della commissione giudicatrice del concorso, perché il progetto preliminare vincitore porta sì la firma di un archistar, ma nasce dalla conoscenza di chi vive e respira il territorio: è il mix garante della conservazione e al tempo stesso del rilancio del valore storico del complesso urbanistico di Porta Melatina. All’indomani della novità conosciuta attraverso le prime tavole del progetto che ha vinto il concorso di idee bandito dall’Università di Teramo, e il serpeggiare di latenti diffidenze, abbiamo chiesto a uno dei progettisti di spiegarci cosa hanno ‘visto’ nel futuro di questo grande angolo della città. Raffaele Di Gialluca, dello studio Promedia, è l’ingegnere teramano che assieme all’architetto e docente universitario Marco D’Annuntiis dello studio Mda di Corropoli, ha strettamente collaborato con Paolo Desideri fondatore dello studio romano Abdr (del team fanno parte anche il docente di strutture dell’Università La Sapienza di Roma, Franco Braga, il geologo teramano Giorgio Di Ventura e i consulenti Luigi Coccia e Iolanda Piersante). «Siamo stati stimolati – dice Di Gialluca – dalla possibilità, fortemente affettiva per noi professionisti che lavoriamo da tempo fuori dei confini provinciali e regionali, di tornare a misurarci con una porzione urbanistica del nostro territorio e per me in particolare di Teramo. La nostra conoscenza del territorio, ma soprattutto del costume e degli orientamenti, per non dire della storia di questo complesso, ci ha aiutato a trovare la giusta mediazione tra il recupero e l’innovazione». C’è chi teme che i lavori possano disperdere il rilevante patrimonio di storia e cultura dell’ex manicomio: «L’intervento edilizio riguarderà soltanto la costruzione di nuove strutture sospese all’interno delle corti e il rinforzo delle strutture esistenti sotto il profilo antisimico, grazie alla odierne tecnologie – aggiunge Di Gialluca -. Ciò che verrà demolito è una parte molto minima dei 24mila metri complessivi e che non hanno valore storico: ciò permetterà di restituire alla città quegli spazi che nel corso degli anni, in particolare del secolo scorso, erano stati tolti proprio dalle costruzioni recenti. Penso agli orti urbani che risultano ancora dai catasti della fine dell’800. Il resto è nel progetto: l’architettura e la tipologia sanitaria di alcune porzioni particolarmente di pregio dell’immobile saranno valorizzate oltre che conservate, vedi il museo, vedi il Centro di salute mentale, la biblioteca e l’archivio, l’area dedicata al Centro per la formazione artistica e musicale per i portatori di disabilità mentale lieve».
Secondo le idee di chi l’ha progettato, l’intervento sull’ex manicomio concettualmente «tende a rafforzare – dice l’ingegnere Raffaele Di Gialluca – la valenza pubblica dell’area, e trasformare un sistema connettivo ‘chiuso’, costituito dalla organizzazione dell’ex ospedale psichiatrico, in uno ‘aperto’ che sia in grado di riconnettere quegli spazi che erano originariamente chiusi con il tessuto edilizio limitrofo costituito dall’ex quartiere di San Lorenzo». In questo modo si ricostituisce anche la rete urbana storica della città, dove il percorso dal teatro romano, attraverso piazza Orsini e via Nicola Palma, introdurrà attraverso la gradinata di Porta Vezzola, alla nuova grande piazza della Corte delle Recluse.
Il progetto gioca con attento equilibrio alle volumetrie. I lavori interverranno su qualcosa di più di 24mila metri quadrati di area, dove poco più di 14mila saranno destinati alla sede universitaria (Scienze della Comunicazione e Dams), quasi 1.900 alla Asl con il Polo sanitario e ‘Arts for Brain’ per la disabilità lieve, circa 3.300 al Conservatorio Braga e oltre 4.500 agli spazi destinati ad altre funzioni pubbliche e alla cittadinanza.
La struttura che nascerà, oltre ai due teatri da complessivi 1.000 posti a sedere e un auditorium da 250 posti, potrà contare su almeno 5 aule da 200 posti e circa una decina di capienze variabili tra i 90 e i 120, utilizzabili per lezioni, prove ed eventi.