L'addio a don Enzo Chiarini, il missionario semplice vicino agli ultimi. L'abbraccio dei teramani n Cattedrale. Il ricordo del nipote Giorgio Giannella

TERAMO – Un abbraccio fraterno da un’intera città, attraverso le sue tante componenti, un addio intimo e commovente, ricco di gratitudine per quanto ha saputo e voluto dare per aiutare chi non poteva farcela da solo. Era così don Enzo Chiarini, padre missionario amico di tutti e soprattutto dei più poveri, con una schietta inclinazione verso la donazione a chi meno ha, al sacrificio condotto in Africa, tra i primi di una Curia che aveva nel vescovo don Abele Conigli, un pioniere della solidarietà missionaria. Il suo ultimo viaggio è stato quello del ritorno dal caro a amato Burundi, la sua seconda casa. Laggiù ha lasciato i suoi ragazzi, i suoi fratelli, coloro per cui ha speso una vita di amore e impegno nel cercare di rendere la loro esistenza più vicina al resto dell’umanità. La riconoscenza non ha bandiere, e la testimonianza del grazie africano è arrivato con la presenza in chiesa di una delegazione dell’ambasciata burundese in Italia Le sue spoglie mortali hanno lasciato Bujumbura per tornare in Italia, a Teramo, dove l’aspettavano in tanti per tenderli per l’ultima volta una mano in una carezza affettuosa, prima della sepoltura nel cimitero di Forcella, suo paese d’origine. Le parole di monsignor Lorenzo Leuzzi, che sono suonate insieme come saluto e riconoscenza, hanno toccato il cuore di Giorgio e Piero, i fratelli di don Enzo, accompagnati in Cattedrale da una folla che non ha voluto mancare all’ultimo saluto. 

Il ricordo del nipote, Giorgio Giannella.
Zio, eccoci al tuo ultimo rientro.
Rientri, i tuoi, che seguivano una loro liturgia che forse anche questa volta rispetti: arrivavi, sconvolgevi le abitudini di tutti, infastidivi i polemici e ripartivi di nuovo.
Da piccolo ho goduto della tua presenza a piccole dosi a causa della tua scelta di vita ed ogni volta ti vedevo con persone diverse provenienti da tutti i continenti, ai miei occhi apparivi un insolito cavaliere errante.
La prima volta che siamo rimasti soli io e te avevo 5 anni ed attraverso varie scuse mi trattenesti a San Pietro e passammo una serata d’estate e mi sembrava eccezionale con te che non c’eri mai, coccolati dai suoni dei Tamurri e dalla vivace vita della tua frazione amata. Tornati a casa giocammo con le lucciole ed è stata quella la prima notte che dormii fuori casa senza i genitori, solo con te e i nonni.
Poi, cresciuto, iniziai a seguire “il movimento per un altro mondo possibile” e sapevo di avere in casa una persona che aveva rinunciato a questo mondo per diventare cittadino dell’altro quello degli ultimi.
I tuoi riferimenti non troppo velati a Don Milani erano un richiamo forte così a 21 anni sono sceso la prima volta nella tua seconda terra a conoscere la tua missione. Giù molte cose e strutture parlavano di San Pietro e la domenica avevi insegnato a fare gnocchi oltre che a ripetere cadenze dialettali teramane.
A noi, tuoi ospiti, ricordavi di non fare ‘carità’ ma contribuire alla determinazione dei singoli che sarebbe dovuta crescere anche nelle nostre società opulente… agire dunque, come la nonna Maddalena faceva, ricordavi sempre, lavorando una pagnotta di pane in più per i bisognosi del paese senza troppi proclami.
Sei riuscito nei tuoi intenti? No, forse non avresti potuto anche per quella costante insoddisfazione che ti portava a farne altre 100 di attività appena conclusa una.
Non ti abbiamo sempre compreso e non facevi nulla per essere accettato o capito anzi delle volte godevi ad accentuare le divergenze.
Cresciuto in un seminario, lontano da casa, studi classici nei quali le traduzioni dal greco al latino hanno caratterizzato la tua adolescenza, latino tornato utile come raccontavi quando la diocesi ebbe la visita di un vescovo Polacco e tu giovane parroco delegato all’accoglienza parlasti l’unica lingua in comune, quella diplomatica per eccellenza, il latino appunto, a seguire venne poi lo studio del tedesco, del francese e dell’inglese, utili per i primi scambi europei fatti a San Pietro ed infine il Kirundi Ciavarundi che ti ha reso vicino ai burundesi più saggi, così definivi gli anziani rari in quella terra.
Come poteva questa comunità capire.
E’ vero come dice il Papa che “la chiesa dei puri è un’eresia” e, come mi insegnavi, nelle nostre società ingiuste essa dovrebbe riscoprire la gioia del dividere il pane, al modo delle prime comunità cristiane.
Qui oggi ci hai raccolti tu e ti diamo l’ultimo saluto in questo luogo, il Duomo, necessario per contenere tutte le persone e non so se l’avresti apprezzato rispetto alla tua amata frazione in montagna.
Noi qui proveremo a stare dalla stessa parte, dalla parte giusta, quella dei molti, degli ultimi, sapendo di essere un po’ più soli ma provando a mantenere il tuo sarcasmo, la tua ironia, il tuo ghigno come mi dicevi spesso ed io ripeto sempre… zio, l’importante è la salute.
Giorgio