Truffa dei cartellini alla Asl, la Cassazione decide un nuovo processo d’Appello

La condanna dei tre tecnici (dopo l’assoluzione in primo grado) è senza motivazione sufficiente. Il caso va avanti dal 2013

Sarà un nuovo giudizio in Corte d’Appello a decidere il destino degli imputati nel processo delle cosiddette ‘timbrature false alla Asl di Teramo’ che in primo grado, aveva registrato l’assoluzione di tutti e in Appello la condanna per truffa: la Cassazione, con la sentenza 22503 depositata ieri, ha infatti accolto con rinvio il ricorso di due tecnici Asl affermando che non sarebbe stata provata la conoscenza da parte loro della revoca al permesso di timbratura non in sede.

Il procedimento avviato nel 2013, portò nel 2015 al rinvio a giudizio di tre tecnici e due funzionari del Sian e del Dipartimento di prevenzione sui luoghi di lavoro, ha costituito in questi anni un caso giuridico oltre che una vicenda giudiziaria in sé. Perché a lungo si è discusso se i tre tecnici potessero, come autorizzati da due funzionari, timbrare il cartellino nella sede Asl di residenza nonostante dovessero poi recarsi in un altro posto di lavoro.

I tecnici erano imputati di truffa e i funzionari di concorso in truffa per averlo autorizzati illegittimamente a timbrare in altre sedi rispetto a quella di lavoro, nell’ambito di una organizzazione aziendale per cui le ore pagate dall’azienda sanitaria erano sempre comprese tra le 8 e le 14 (quindi anche se il cartellino è timbrato alle 7 l’ora in più non è pagata).

La Corte d’Appello aquilana aveva spazzato via l’assoluzione dei giudici teramani di primo grado fondata sul fatto che i tecnici non fossero a conoscenza della revoca dell’autorizzazione e del cambio di indirizzo del posto dove timbrare. Ma nella sentenza di condanna la Corte si era limitata a rilevare che la revoca era stata formalmente inviata a tutto il personale in servizio e che le autorizzazioni esistenti dovevano necessariamente intendersi come riferita ai casi in cui il dipendente era impegnato in attività fuori sede: insomma, avrebbero lucrato “illecitamente la retribuzione per il tempo utilizzato per raggiungere la sede di effettivo servizio“.

La decisione é stata però cassata dalla Suprema Corte che ricorda come “in materia di ribaltamento della sentenza assolutoria, incombe sul giudice di appello l’onere di offrire una motivazione rafforzata“. Mentre la Corte territoriale ha omesso di confrontarsi con gli argomenti utilizzati dal primo giudice. Giudizio da rifare dunque “non essendo stato scrutinato ne’ il tema decisivo della conoscenza effettiva della revoca dei provvedimenti autorizzatori in capo ai ricorrenti, ne’ quello, altrettanto rilevante, del contenuto dei provvedimenti di autorizzazione e revoca“.