Il Cdm ha revocato la concessione di A24 e A25 a Strada dei Parchi. Verso contenzioso miliardario

Il provvedimento, nell’aria da tempo, adottato nella riunione di oggi. Fuori il gruppo Toto Holding

TERAMO –  Il Consiglio dei Ministri ha adottato il provvedimento di revoca della concessione dell’Autostrada dei Parchi. L’A24 (Roma-L’Aquila-Teramo) e l’A25 (Torano-Pescara) erano in concessione alla società Strada dei Parchi, controllata dalla Toto Holding.

La partita dopo la revoca in danno, cioè per inadempienze contrattuali, della concessione si giocherà su risarcimenti miliardari in un contesto che inasprirà ancora di più un contenzioso che dura da anni: le istanze del Ministero per le infrastrutture e mobilità sostenibili (Mims), ma soprattutto quella notificata il 12 maggio scorso dalla
concessionaria Strada dei Parchi, che nella pratica per la cessazione anticipata del rapporto in scadenza nel 2030 ha chiesto un indennizzo di 2,5 mld di euro.

Un conto salato motivato con precisi elementi contrattuali recapitato qualche settimana dopo quella in danno da parte del Mims che secondo fonti di Sdp – del gruppo industriale abruzzese con 1.700 dipendenti che fa capo a Carlo Toto – è stata solo verbale. Il privato, in sella dal 2002 dopo aver rilevato le due arterie di montagna dalla gestione pubblica dell’Anas attraverso un bando comunitario, accusa il Governo di aver impedito “una efficace operatività in una condizione di equilibrio economico-finanziario”; il Governo contesta lavori, sicurezza e manutenzione ordinaria e mancati pagamenti, oltre al fatto che la concessionaria sia finita sotto inchiesta nelle procure abruzzesi per lo stato della infrastruttura. Tutti rilievi rispediti al mittente e in merito ai quali la concessionaria ha ottenuto sentenze favorevoli, tra cui il blocco del pignoramento intentato da Anas sancito dal tribunale di Roma che ha riconosciuto il principio della compensazione sottolineando che lo Stato deve al privato una somma maggiore dei circa 500 milioni di euro rivendicati.

Ma in questa complessa vicenda che coinvolge anche l’acquifero del Gran Sasso (a Teramo è in corso un processo per presunto inquinamento nel tunnel), tutto ruota intorno al Pef, il Piano economico finanziario, fermo dal 2013, nonostante una quindicina di versioni e due commissari, uno nominato dal Governo, l’altro dal Consiglio di Stato che ha considerato inadempiente l’allora Ministero per le infrastrutture e trasporti esautorandolo dalla approvazione. Nel Pef, oltre ai costi dei pedaggi, emerge l’altra grande questione: il mega piano di messa in sicurezza sismica di circa 6,2 miliardi di euro per rispettare i dettami della legge di stabilità del 2012, dopo il terremoto dell’Aquila, che considera le due arterie strategiche in caso di calamità naturali.

Proprio la maxi commessa i cui lavori, secondo il contratto in forza alla concessionaria, poteva essere gestita in house dalla società del gruppo Toto potrebbe essere stato il vero elemento di rottura tra le parti. Lo scontro tra Stato e Sdp è divampato dopo la tragedia di Genova del 14 agosto del 2018 con il crollo della infrastruttura gestita dalla famiglia Benetton quando il ministro era il pentastellato Danilo Toninelli: fu lui, insieme ai dirigenti del dicastero, ad ingaggiare con Sdp un braccio di ferro sulla sicurezza. Ma la situazione non è cambiata con i successori Paola De Micheli ed Enrico Giovannini. Tanto che si è arrivati alla revoca in danno che ha attivato preoccupazioni per una operazione che non a caso per il governatore abruzzese, Marco Marsilio “darà vita a un contenzioso micidiale” considerando che “Benetton e Atlantia sono stati liquidati con 8 miliardi di euro dopo aver fatto crollare un ponte con decine di morti”

LA REAZIONE DI SDP
Nessun inadempimento, è un autentico sopruso al quale reagiremo prontamente e duramente chiedendo i danni ai responsabili – è stato questo il primo commento da parte di Strada dei Parchi al provvedimento di revoca -“. Strada dei Parchi parla poi in una nota di “un’inaudita e immotivata decisione, tesa a umiliare e penalizzare un gruppo imprenditoriale il cui solo torto è di aver investito in Italia credendo nell’apprezzamento delle istituzioni” e di “una scelta ritorsiva del tutto ingiustificata, sia per ragioni di procedura che di merito“. “Prima di tutto – si spiega – perché giunge fuori tempo massimo, visto che SdP ha notificato in data 12 maggio ai ministeri delle Infrastrutture e dell’Economia la propria unilaterale decisione di avvio delle procedure per il recesso e la cessazione anticipata della concessione (ai sensi dell’articolo 11.11 della convenzione stessa), essendo venute definitivamente meno le condizioni minime in grado di garantire una efficace operatività in una condizione di equilibrio economico-finanziario. È dunque SdP che ha deciso di risolvere in via anticipata il contratto, la cui scadenza naturale è fissata al 2030, ed è a questa decisione che il Mims ha il dovere di rispondere attivando le procedure per definire l’indennizzo dovuto, come previsto dalla concessione medesima“.

In secondo luogo – prosegue SdP – non sussistono le ragioni giuridiche per l’applicazione dell’art. 35, che anzi viola apertamente e senza giusta causa i contratti in essere. Intanto perchè SdP non è inadempiente, anzi ha provveduto a pagare in proprio interventi urgenti che non le competevano e ha sopportato il blocco delle tariffe dal 2015 – e nessuna sentenza, neppure di primo grado, ha mai condannato la società o i suoi amministratori. Inoltre, le prove di carico ordinate da alcuni Tribunali abruzzesi a periti professionisti hanno accertato senza ombra di dubbio che non sussiste alcun rischio per le infrastrutture autostradali e dunque non è a rischio la sicurezza degli utenti, mentre una sentenza della Corte di Giustizia ha stabilito che tutti i lavori di manutenzione fin qui affidati in house erano e sono perfettamente legittimi“.

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