Curiosa tempestività del post dell’ex presidente della Tercas di Serie A in un momento critico per la disciplina a livello locale. Leggete la lucida analisi di coach Bruno Impaloni
TERAMO – Ho letto sul web esaltare un post del fu presidente della squadra di pallacanestro teramana che giocò in Serie A e in Europa e poi scomparve, in cui sottolinea come alcuni tra teramani e ‘teramani acquisiti’, in particolare quest’anno, da allenatori, abbiamo raggiunto livelli top nella disciplina della palla a spicchi, un pò dovunque, dai campionati nazionali a quelli europei. E come questo sia stato frutto dell’epopea biancorossa. Vero, anche se andrebbero operati dei distinguo, ma in ogni caso defiiniamoli tutti figli di Teramo sì.
Peccato che nell’esaltazione di questi ‘figli del Teramo Basket’ si sia dimenticata una riflessione: in quanti si sono accorti che a contraltare di questa ‘semina’ di profeti fuori della patria, la pallacanestro cittadina è scomparsa? L’ultima società che giocava in un campionato oltre il confine regionale, la Tasp, ha amaramente ammainato le vele, e forse si iscriverà a un campionato locale (DR1?). il sesto livello cestistico nazionale…
Piuttosto che postare una celebrazione che riapre solo vecchie e dolorose ferite, rimaste ahimè intatte da quel famigerato 2012, sarebbe stato piuttosto il caso di provare a stimolare una riflessione, un dibattito. Quei professionisti teramani e acquisiti, hanno mietuto successi fuori da questa città, mentre in questa città il basket a certi livelli è definitivamente morto.
Qualcosa non torna. E non lo dico io. Lo dice, e lo ha scritto prima dell’uscita social del presidente della squadra di Serie A che fu, un’icona della pallacanestro teramana e non solo, un coach di razza che di palla a spicchi se ne intende, Bruno Impaloni.
Ecco cosa ha scritto il già allenatore delle squadre teramane: “E alla fine, anche quest’avventura post Tercas è giunta a conclusione. Ci aveva provato dapprima il Penta Basket con una società che ripartiva dalla base tentando di veicolare quell’entusiasmo che rimaneva della vecchia serie A, ma con pochissime idee. Quindi è stata la volta del Presidente Ruscitti acquisendo un titolo di serie B evaporato in pochissimo tempo. Poi è arrivata la Tasp la quale, quel titolo, lo aveva trionfalmente strappato anche a fantomatici concorrenti. Tre cicli chiusi allo stesso modo, con le solite difficoltà e con il mancato coinvolgimento del tessuto cittadino.
“Ma qualcosa non torna. Perché l’ultimo ciclo era partito con le migliori intenzioni: squadra a km 0, allenatore locale, entusiasmo, una “casa” ed anche qualche possibilità economica. Ma dopo poche settimane, consigliati non so da chi o forse dallo stesso che consigliava il precedente ciclo, le manie di grandezza hanno preso il sopravvento, legandosi mani e piedi ad un allenatore che ha fatto spendere molto e male. Ed a pensarci bene, le difficoltà sono iniziate tutte lì: nessun investimento, nessun progetto, nessuna base programmatica. E così si è prima scivolati in quarta serie e poi si è continuato con due roster da sopravvivenza.
“E no, qualcosa non torna. Perché non è un caso che le due annate migliori in termini di qualità/prezzo, siano state gestite da due coach locali. Anzi, a dirla tutta, per ironia della sorte ed a conferma del grave errore che ha generato il triste epilogo, l’annata più bella è stata proprio quella di coach Stirpe. Si, quello esonerato dopo poche settimane ma che era buono quattro anni dopo, con un progetto spintaneo di giovani ed una crescita tecnica costante, tanto da affermarsi come la più bella realtà di tutta la serie B Regionale. E chissà se, dopo questa ultima annata, qualcuno abbia almeno compreso la gravità di certe scelte precedenti.
“Ma no, qualcosa non torna. Perché ora, a quanto pare, dopo tutti i soldi spesi ed a quel che sento qualcosa ancora da dover dare, si riparte da un piano più basso da dove si era prima (DR1?) con, da quello che leggo, una squadra formata da giocatori del ‘florido vivaio‘.
“Ma qualcosa non torna. Perché se il vivaio fosse davvero ‘florido’, dopo dieci anni, non riuscire ad allestire neanche una squadra di serie C, vuol dire o che dopo una decade di attività non ci sono neanche giocatori per una quinta serie o che le difficoltà economiche sono davvero importanti. La realtà, è che fare pallacanestro a Teramo è molto difficile. Lo è storicamente, lo è per la terra bruciata che i vecchi fasti hanno lasciato, lo è, non me ne vogliano i volenterosi appassionati che si sono alternati, per una mancanza di capacità ed una potenzialità di coinvolgimento di chi quelle società ha gestito, anche in momenti di crisi del calcio.
“No, qualcosa proprio non torna, perché se per ben due volte ci si ostina a spender soldi per l’acquisizione di titoli e poi si finisce miseramente e senza neanche poter dire di aver fatto campionati di spicco, vuol dire che non c’era neanche un minimo di programma, una cencio di visione e quei pochi soldi si sono sperperati senza neanche un’idea.
“E qualcosa non torna perché è vero che ognuno spende i propri soldi come vuole (odiosi contributi regionali a pioggia a parte e sui quali andrebbe fatta una seria riflessione), ma se nessuno mai, a livello di stampa locale che riesce a far scivolare tutto, compreso dichiarazioni trionfalistiche di un Presidente Federale che vede scomparire una B Nazionale e due Regionali, interviene con qualche riflessione meno mielosa, vuol dire che la nostra cultura cestistica è tutta qui. Molto molto bassa“.
