D'Alema, ci giochiamo la credibilità 

«Sull'Afghanistan è in gioco la credibilità di una maggioranza politica che non può che contare su una maggioranza parlamentare anche nelle scelte di politica estera». Alla vigilia della riunione del consiglio dei ministri che oggi dovrà approvare il decreto per il rifinanziamento delle missioni italiane all'estero, i senatori della sinistra radicale confermano il loro no e il ministro degli Esteri Massimo D'Alema dice chiaro e tondo che in questo modo si decreterebbe la fine dell'attuale maggioranza. Un'ipotesi, questa, che Giordano, Diliberto e Pecoraro Scanio non vogliono nemmeno prendere in considerazione ma che, con il no degli otto senatori dissenzienti, diverrebbe inevitabile anche perché al Senato la maggioranza non avrebbe i numeri necessari per approvare il decreto e il disegno di legge che approderanno a Montecitorio il 17 luglio.
Come superare le difficoltà? Francesco Cossiga suggerisce una «scorciatoia legislativa» che, per evitare un voto in tempi brevi su provvedimenti che dividono, prevede di dare applicazione al decreto di rifinanziamento con decreti di spesa su fondi regolarmente disponibili in Tesoreria, lasciarlo quindi decadere e poi sanare gli effetti della decadenza con un emendamento al disegno di legge (aperto ai suggerimenti e alle mozioni d'ordine dei parlamentari pacifisti) sulla conversione da esaminare dopo che si saranno calmate le acque.
Il problema, insomma, è politico. Per D'Alema, il governo deve avere una sua maggioranza parlamentare ma questo non vuol dire che dovranno essere rifiutati i voti dell'Udc. «Se poi ci sarà un consenso parlamentare più ampio sarà un fatto certamente positivo» spiega il ministro degli Esteri, che dice di avere «il più grande rispetto» per le posizioni che nascono da «ragioni di coscienza». Gli otto senatori, insomma, hanno tutto il diritto di mantenere le loro posizioni ma devono sapere che in questo modo si tornerebbe al voto. Gli otto «dissenzienti» alla fine decideranno di votare s_ al decreto sull'Afghanistan? Luigi Malabarba (Prc) fa sapere che lui voterebbe no anche nel caso in cui il governo ponesse la fiducia. Il compito di tentare una mediazione Prodi lo ha affidato a Ricky Levi che ha contattato subito il verde Paolo Cento, e il capogruppo alla Camera del Prc Gennaro Migliore.
Silvio Berlusconi prova invece a bloccare la disponibilità a votare s_ offerta dal partito di Casini e annuncia che la Casa delle libertà proporrà una mozione parlamentare unitaria ma «aperta» al voto dei deputati e dei senatori dell'Unione. «Siamo persone serie e coerenti e non permetteremo certo che i nostri soldati in Afghanistan vengano abbandonati a se stessi, né che si determinino le condizioni per un altro vergognoso disimpegno come quello annunciato per l'Iraq», dice l'ex presidente del consiglio. La risposta al Cavaliere, che ha fissato per la prossima settimana un vertice della Casa delle libertà sull'Afghanistan, arriva dal segretario centrista, Lorenzo Cesa: «L'Udc non ha alcuna difficoltà a predisporre la mozione unitaria e penso che le altre forze della Casa delle libertà, con lo stesso spirito, non avranno alcuna contrarietà a votare il decreto del governo».