Quando la retorica rischia di confonderci le idee

TERAMO – La tragica vicenda di Castelnuovo, dove un agente di polizia ha sparato e ucciso un giovane albanese latitante, ripropone un vizio italico e… atavico: quello di sprecarsi in retorica. E’ proprio il caso di dire che a pistola ancora fumante, già si celebrano i processi. E l’imputato è scomodo: è quel poliziotto capopattuglia che ieri sera era di turno, in servizio antifurto. Che faceva il suo lavoro, pagato poco e male, che nella vita ha scelto di fare anche e soprattutto per essere di aiuto alla gente come noi. Che siamo stanchi di essere violati nella nostra intimità, nella nostra vita privata, nelle nostre cose, nei nostri interessi, da chi ha scelto una strada diversa dalla stragrande (per fortuna) maggioranza della gente, ovvero vivere secondo legge. Ho già scritto troppo e non sono arrivato al concetto. A scanso di equivoci, lo scrivo adesso forte e chiaro: io sto con il poliziotto. E allo stesso modo dico con chiarezza che non faccio caso alla nazionalità della vittima. Per me, che a terra sia rimasto in queste circostanze un albanese piuttosto che un italiano o un africano o un americano, è la stessa identica cosa. Non è la pelle, la nazionalità che influenza il mio giudizio. Una vita spezzata è sempre una storia difficile da accettare e soltanto su questo piano che accetto il confronto sul perchè di una morte. Ma non venite a raccontarmi che quel ventenne non sapeva di poter morire. Ha accettato il rischio e già per questo, pur se coerente, ha sbagliato. Perchè la vita, la sua per prima, non è una cosa che si mette in gioco. Secondo: ha scelto di delinquere. E ha sbagliato per la seconda volta. Terzo: ha tirato fuori la pistola con un gesto di arroganza, ancor più di sfida se è vero che non poteva sparare. Dunque direte: ma che significa, è giusto che dovesse morire? Certo che no, ma lui per primo ha accettato questa possibilità. In quella stradina a Castelnuovo, ieri sera, c’erano cinquanta possibilità su cento ciascuno per vivere o morire: quel poliziotto ha sparato perchè ha visto una pistola puntata contro di lui. E come in un frame velocissimo, ha visto anche i volti dei suoi due bambini. Ha sparato, sperando che quell’altra arma non lo facesse per prima e in maniera più precisa della sua. Ha sparato per difendere se stesso e con lui, tanta gente che in Italia cerca da lui e dai suoi colleghi proprio quello che stava facendo: difenderci da chi ha scelto di farci del male, fisicamente, psicologicamente o anche soltanto attraverso le nostre cose. Non sparare avrebbe significato venire meno al suo compito e, perchè no?, anche agli obiettivi del suo lavoro. Ha sparato e ha anche ucciso, purtroppo. Se lo avesse ferito non staremmo qui a parlare; se fosse stato ucciso lui dal giovane ladro? Siamo stanchi dei furti? Ci lamentiamo sempre che non c’è sufficiente sicurezza? Spesso ce la prendiamo con le forze dell’ordine perchè a nostro dire non vigilano, non hanno i giusti mezzi per prevenire i furti, le razzie, le rapine? Allora troviamo il tempo sufficiente o per stare zitti o per dire che quanto accaduto a Castelnuovo è, purtroppo, il prezzo, certo il più caro possibile, che si può pagare per sentirsi sicuri. (Robal)