Campitelli distrutto: «Hanno deciso che devo smettere di fare calcio»

ROMA – Il volto è scuro, lo sguardo fisso, sconvolto da una richiesta che mette in ginocchio anche chi, come lui, ha la passione al posto del sangue. Luciano Campitelli è telegrafico, quando gli si chiede se ha voglia di commentare la richiesta della procura federale e si prova a tirarlo su: «Io ho smesso di fare il presidente – dice a caldo -. Hanno deciso che devo smettere di fare calcio. Una sola cosa mi amareggia: io sono una persona perbene e non posso essere scambiato con persone avvezze al malaffare. Non capisco alcune cose… c’è chi ha comprato partite, non una sola, e adesso si ritrova ancora a fare calcio. A me hanno deciso di dare due campionati e 20 punti…. Ho finito qui, hanno deciso che devo smettere di fare calcio». Il patron del Teramo si allontana, parla al cellulare, poi torna sotto nell’aula del processo, passando vicino a un Ercole Cimini sconvolto e arrabbiato al tempo stesso. Incrocia l’avvocato Eduardo Chiacchio che si prepara alla sua arringa difensiva, che gli batte una mano sulla spalla e lo rincuora: «Presidente! – gli dice – Non puoi abbatterti così…. Sono solo delle richieste dell’accusa!». Ed è proprio Chiacchio che invita «a non farsi tramortire», che l’accusa non ha portato elementi nuovi rispetto a quanto già letto negli atti allegati al deferimento. «L’accusa vede Campitelli fare illeciti dappertutto e ogni volta che si muove – ha detto il legale del Teramo -. Anche quando Di Giuseppe dice "sto a Campitelli", ovvero all’inaugurazione del locale di Roseto, la procura federale vede un illecito. Il presidente non è mai dove vogliono farlo stare e lo dimostreremo. Non c’è elemento nuovo ma mi sorprende, su tutto, la richiesta di proposta di radiazione per Campitelli: sinceramente non è giusto…»