Comune condannato a pagare, inammissibili le maximulte per il Centro di fecondazione

TERAMO – Perde ancora in giudizio il Comune di Teramo, nel processo d’appello che probabilmente ha scritto la parola fine alla lunga e adesso ancor più discussa vicenda del Centro di procreazione assistita del Mazzini di Teramo, avviato nel 2012 e posto sotto sequestro dalla magistratura otto mesi dopo, quando aveva erogato già 738 prestazioni sanitarie. Dopo l’assoluzione dei vertici aziendali e dipartimentali "perchè il fatto non è previsto dalle legge come reato" sul fronte penale, si chiude in appello (a meno di un eventuale ma improbabile ricorso in Cassazione del Comune) il fronte civile aperto con la maxi multa da 500mila euro erogata allora dall’amministrazione guidata dal sindaco Maurizio Brucchi, per la mancata richiesta di autorizzazione amministrativa del Centro. Anche i giudici di secondo grado hanno infatti confermato l’annullamento della sanzione da 100mila euro ciascuno comminata ai componenti della direzione strategica della Asl di Teramo (il direttore generale Giustino Varrassi, quello amministrativo Lucio Ambrosj e sanitario Camillo Antelli), al direttore medico del Centro, il dottor Francesco Ciarrocchi (che era anche consigliere comunale del Pdl) e al capo del Dipartimento materno infantile, Goffredo Magnanimi. Le sanzioni erano scattate come conseguenza della pratica istruita dal dirigente dell’ufficio commercio del Comune, Fulvio Cupaiolo, in applicazione di una legge regionale che punisce chi apre strutture sanitarie senza autorizzazione. I multati avevano fatto ricorso nel 2013 e nel 2017, il giudice del lavoro di Teramo, in primo grado, aveva annullato le multe e condannato il Comune al pagamento delle spese legali, per un ammontare di circa 9mila euro per ciascuno dei ricorrenti. L’iniziativa legale comunale era stato deliberato sulla base di un parere dell’ufficio legale dell’ente secondo cui la mancata opposizione al ricorso e il suo accoglimento, avrebbe potuto determinare un danno erariale di cui sarebbero stati responsabili sindaco e assessori. Nel 2015 è intervenuta l’assoluzione nel procedimento penale per i cinque indagati (gli stessi meno Ambrosj, non indagato, ma con in più l’allora direttrice sanitaria del presidio, Gabriella Palmeri). Anche ieri il pool di legali difensori dei ricorrenti (gli avvocati Guglielmo Marconi, Gabriella Zuccarini, Lino Nisii, Massimo Pisani, Gianfranco Iadecola e Mauro Catenacci) è riuscito a dimostrare l’inammissibilità della sanzione nei confronti dei vertici aziendali e sanitari, ottenendo la conferma della sentenza di primo grado. Il Comune, dunque, dovrà pagare le spese legali per ciascuno dei ricorrenti.