TERAMO – Un avviso di garanzia potrebbe riscrivere la storia del fallimento della Tercas. Non servirà a ridarci indietro la banca (che era solida) di un territorio, ma almeno potrebbe dare un nome e un cognome a chi ha voluto affondarla, e a chi non ha fatto nulla per salvarla.
L’avviso di garanzia è quello notificato dalla Procura di Bari a Marco Jacobini, ex presidente della Banca Popolare di Bari, che Repubblica ha reso noto nell’edizione di oggi del quotidiano. Un avviso per corruzione, che il quotidiano nazionale lega a Bankitalia e ai rapporti che il ‘patron’ dell’istituto barese ha intrattenuto all’interno della vigilanza di Palazzo Koch. Ma perchè potrebbe riscrivere la storia del fallimento Tercas. Perchè è proprio Repubblica, anche se l’ipotesi di reato avanzata dai magistrati baresi (il procuratore aggiunto Roberto Rossi, i sostituti Lanfranco Marazia e Federico Perrone Capano) non individua ancora il corrotto, ad asserire che al centro del rapporti tra i vertici baresi e Bankitalia ci sia proprio l’affare Tercas. L’avviso dimostra come la procura pugliese continui a lavorare sui profili penali delle attività finanziarie della Bpop Bari e che gli indizi in suo possesso siano sufficienti a rendere possibil un approfondimento sulla vicenda dell’acquisizione della Tercas. L’articolo di Repubblica riavvolge il nastro del recente passato di Tercas, tornando indietro fino al 2013, quando alla Popolare barese venne concesso di procedere a un’acquisizione che in quel momento era formalmente inibita, scrive il quotidiano. Fornendo una lettura dalle rispose diverse rispetto al quadro offerto allora e in questi anni da Bankitalia.
Che i ruoli della Vigilanza e dell’allora commissario Riccardo Sora fossero finiti al centro di forti critiche di chi aveva letto con attenzione le carte di Tercas è roba vecchia. Ma gli appelli di allora erano rimasti voce inascoltata perchè si andava a toccare il santuario della finanza italiana. Ipotesi di responsabilità lasciate nell’angolo delle recriminazioni, senza il necessario approfondimento che avrebbe dovuto invece comportare.
Oggi la faccenda appere invece molto delicata e di essa se ne fa carico la magistratura barese, diversamente da altre che allora non ebbero mai il coraggio di fare. E Repubblica prova a fissarne i punti certi, almeno tre.
A cominciare dal fatto che "fu sicuramente la Vigilanza della Banca d’italia a sollecitare, già il 17 ottobre del 2013, l’interessamento della Popolare all’acquisizione di Tercas. E fu sicuramente l’allora presidente Marco Jacobini che ebbe per altro modo di comunicarlo al Consigio di amministrazione, che ritenne quella proposta l’occasione irripetibile per regalare alla Banca il prestigio che non aveva e che certo non aveva il suo bilancio". Il secondo: "E’ documentalmente certo il ‘trade off’, lo scambio, che intervenne tra ‘acquisizione della Tercas – costata alla Popolare un aumento di capitale in due fasi per circa 500 milioni di euro – e la decisione della Vigilanza di liberarla della sanzione imposta nel 2010 (il divieto di nuove acquisizini). E questo, nonostante l’esito dell’ispezione del 2013 avesse sostanzialmente confermato i buchi di governance della banca già rilevati tre anni prima"
Il terzo, forse il più grave sotto l’aspetto del destino della Tercas: "I verbali del Consiglio di amministraione della Popolare dimostrano che l’avvio della procedura di acquisizione della Tercas cominciò almeno sei mesi prima che la banca ricevesse il formale via libera dalla Vigilanza. E che tutto questo avvenne nella piena consapevolezza dgli ispettori". Attendiamo con ansia l’evolversi di questa inchiesta barese. A caccia di riabilitazioni ma anche di nuove e diverse condanne.