Anche per la Procura di Bari l'acquisizione di Banca Tercas fu la madre dei falsi in bilancio

TERAMO – Ci risiamo. Anche per la Procura di Bari che indaga sulla malagestione della Banca Popolare – l’inchiesta ha portato ai domiciliari, ieri, Marco e Gianluca Jacobini, padre e figlio ex presidente ed ex amministratore delegato – buona parte del lavoro investigativo verte sull’acquisizione della Banca Tercas da parte della Popolare barese. E con essi i riflettori sono accesi sugli aumenti di capitale del 2014 e 2015 collegati a quella operazione, della quale sarebbero stati nascosti i rischi. E così per anni sarebbero stati "aggiustati" i bilanci per "mantenere intatto il potere di gestione della banca a spese degli azionisti", vendendo loro azioni diventate ormai illiquide. Alla vicenda Tercas fa riferimento anche l’unica accusa di ostacolo alla vigilanza riconosciuta sussistente dal gip, contestata al solo Marco Jacobini, il quale alla Consob avrebbero fornito “dichiarazioni non veritiere” nei prospetti informativi relativi all’offerta di prodotti finanziari, omettendo “di riportare informazioni complete in merito alla determinazione del prezzo di offerta delle azioni”. L’operazione di salvataggio di Tercas è costata alla Popolare di Bari 325 milioni di euro e “i crediti deteriorati netti della BPB prima della fusione con Tercas-Caripe – si legge nell’imputazione relativa al falso in prospetto – ammontavano a 780 milioni di euro, mentre dopo la fusione a 1 miliardo 440 milioni”.
Dalle carte dell’indagine barese, emergono particolari che denotano una gestione superficiale. "Quando abbiamo venduto le azioni abbiamo fottuto i clienti" dice un ex direttore di filiale intercettato. In alcune intercettazioni gli indagati parlano, a questo proposito, di "numeri sbalorditivi, mostruosi", falsificati allo scopo di "ritardare l’emersione delle perdite". Mentre Marco Jacobini e i suoi figli si preoccupavano di agevolare alcuni clienti "amici", aumentare i propri compensi e commentare gli articoli di stampa sui problemi della banca come "attacchi politici alla famiglia Jacobini", continuando ad ignorare le richieste degli organi di vigilanza sul cambio di governance.
"E’ come se avessimo una vela stracciata e vogliamo affrontare il mare aperto, abbiamo provato a cucirla, ma abbiamo messo l’imbastito. Il primo soffio di vento che arriverà che si gonfierà la vela, si strapperà". Sono le parole intercettate di un ex dirigente indagato, che sembrano l’epilogo della vicenda, perché quella vela, poi, si è strappata davvero.
Per oltre un decennio la famiglia Jacobini avrebbe gestito la Banca Popolare di Bari falsificando bilanci e ostacolando i controlli delle autorità di vigilanza, Consob e Bankitalia, per la "persecuzione di interessi propri, anziché di scelte nell’interesse dei risparmiatori". A poco più di un mese dal commissariamento dell’istituto di credito barese finito sull’orlo del crac, con perdite intorno ai 2 miliardi di euro, tutti i presunti inganni sono finiti nero su bianco nelle 407 pagine di ordinanza di custodia cautelare che ha portato Marco Jacobini, ex presidente, e il figlio Gianluca, ex codirettore, agli arresti domiciliari per i reati di falso in bilancio, falso in prospetto e ostacolo alla vigilanza. I due "nella imminenza del commissariamento" avrebbero trasferito circa 5,6 milioni di euro dai loro conti correnti con assegni circolari e bonifici con "l’intenzione – secondo i magistrati – di sottrarre i profitti illeciti ad eventuali operazioni di sequestro da parte dell’autorità giudiziaria".
Ai domiciliari è finito anche Elia Circelli, responsabile della Funzione Bilancio e Amministrazione della Direzione Operations, mentre Vincenzo De Bustis Figarola, ex amministratore delegato e in passato dirigente anche di Banca 121 e Mps, è stato interdetto per 12 mesi.
Secondo il giudice che ha firmato gli arresti "la struttura della banca è ancora sottoposta al controllo di fatto della famiglia Jacobini" con l’ex presidente che, stando alle rivelazioni di un dirigente sentito durante le indagini, era capace di "governare la banca con lo sguardo". "Appare pertanto necessario e urgente – dice il gip – impedire che tale potere illecito impedisca il risanamento della banca con i devastanti effetti sull’economia meridionale". Dagli atti emerge che, nonostante la situazione di grave dissesto patrimoniale di BpB, la famiglia Jacobini avrebbe percepito dal 2011 al 2017 compensi per complessivi 10 milioni di euro e nel 2018 il solo Marco avrebbe incassato redditi per oltre 3 milioni.
Nell’inchiesta della Gdf, coordinata dal procuratore aggiunto Roberto Rossi con i sostituti Federico Perrone Capano e Savina Toscani, sono indagate nove persone. La Procura, in tre anni di indagini, avviate dopo la denuncia di un ex dirigente mobbizzato, Luca Sabetta (le accuse di maltrattamenti ed estorsione nei suoi confronti non sono state ritenute sussistenti dal gip), ha raccolto le testimonianze di dipendenti, coindagati e anche degli allora direttori generali di Consob e Bankitalia, Angelo Apponi e Salvatore Rossi.