Iva non dovuta sulla Tia, quasi impossibile riaverla. L'Ad TeAm Pelagatti: “Spetta al Comune o agli utenti richiederla"

TERAMO – Non ci sentiremmo di definirla una chimera, ma sicuramente il percorso per arrivare al recupero dell’Iva sulla Tia versata e non dovuta negli anni 2007-2009 appare come una ‘cima Coppi’ per l’amministrazione comunale di Teramo. Tanto in pendenza e faticosa la salita, che ci sentiremmo di dire che quei soldi non torneranno mai indietro.
Tra  silenzio ‘non’ assenso, titolarità della tariffa e non ultimo il rischio prescrizione, quei teramani che allora pagarono la Tia possono mettersi l’animo in pace: il tentativo di recuperare le somme dichiarate non dovute da una sentenza della Corte Costituzionale (238 del 2009) e una di Cassazione (17526 del 2007), andava fatto prima, anche se questo non avrebbe comunque garantito la riuscita.
La Teramo Ambiente si appresta a rispondere all’invito del sindaco Gianguido D’Alberto che ha chiesto un’attività più incisiva nei confronti dell’Agenzia delle Entrate per il recupero di circa 2,4 milioni di euro di Iva. E gli dirà a chiare lettere che si tratta di un compito che non spetta alla municipalizzata, bensì al Comune. La TeAm – secondo il parere dei suoi legali – non ha titolarità nella richiesta, perché il ‘proprietario’ del credito principale, ovvero la Tia in quel caso, la Tari oggi, è l’amministrazione comunale, indipendentemente se poi le somme versate dagli utenti finiscano nelle casse della TeAm perché il Comune ci paga il servizio dell’igiene urbana.
Si tratta di un primo cavillo giuridico che costituisce la prima spina di questo rosario composto oltre 12 anni fa. “Noi eravamo meri esecutori – spiega Pietro Pelagatti, amministratore delegato TeAm -, di un ordine del Comune: ed è giusto così perché la ‘proprietà’ della tassazione è dell’Ente locale, che ogni anno decide ed approva anche l’ammontare della tariffa da pagare”.
L’atto che cita l’Ad, del maggio 2007, è chiaro: si chiama “Atto aggiuntivo alle convenzioni del 2001 e del 2004” che affidava un surplus di servizio, quello della fatturazione e della riscossione, ma accollando al Comune il costo del personale che avrebbe dovuto svolgere quel lavoro in più. Superato questo primo aspetto, il Comune dovrebbe farsi parte diligente nei confronti del Ministero dell’Economia e della Finanze per provare a recuperare la somma. Perché il passaggio procedurale corretto, lo spiegano i tecnici, è questo: “E’ il ministero, come ha chiarito anche l’Agenzia delle entrate – aggiunge Pelagatti – che deve decidere se rimborsare o meno. Ha incassato la somma ma finora non si è mai espresso alla richiesta di quale percorso seguire per rifondere l’iva non dovuta, semmai ne abbia l’intenzione. E in assenza di una circolare esplicativa, un documento, insomma un atto statale, non esiste possibilità di ricorso: contro chi lo fai, contro il silenzio, contro l’assenza di risposta, che non costituisce certo assenso?”
Giusta considerazione. Idem per un eventuale procedimento di contestazione alla commissione tributaria: quale presupposto giuridico si potrebbe contestare? Valga come spiegazione il precedente costituito dalle richieste avanzate da Asl di Teramo e Poste Italiane locali che risultano anche loro tra i contribuenti Tia, al pari ad esempio del Comune e di altri Enti o Istituzioni: hanno richiesto il rimborso al ministero, cosa che lo stesso Comune non risulta aver fatto per la ‘sua’ Iva, ma nessuno ha ricevuto risposta e questa somma ‘galleggia’ nell’aere. E c’è di più: avrebbero dovuto e potuto essere gli stessi cittadini a chiedere il rimborso dell’Iva allo Stato, per autonoma iniziativa.
Più concreti due cittadini che forse hanno imbroccato la strada giusta: hanno presentato ricorso al Giudice di pace di Teramo chiamando in causa sia la TeAm che il Comune. Il giudice ha stralciato la posizione dell’azienda (confermando quando asserisce Pelagatti e cioè che la Teramo Ambiente non è titolare della Tia) e condannato il Comune che ha proposto appello al tribunale ordinario.
Ecco però il possibile rischio, ulteriore ostacolo: la prescrizione delle richieste di rimborso. Il pagamento della Tia risale agli anni tra il 2007 e il 2009, per buona parte, se non la maggioranza di essi, è intervenuta probabilmente la prescrizione decennale, in assenza di eventuali corrispondenze di richiesta intercorse durante questo periodo. Con due riflessi: che. La somma da riavere indietro da calcolare non è sicuramente 2,4 milioni di euro, ma molto molto di meno; e che la strada dei ricorsi può realisticamente essere definita un vicolo cieco.
Ma pur ponendo, per assurdo, che il Comune riesca a scalare la ‘cima Coppi’ e raggiungere il traguardo. A chi spettano quei soldi? Di certo non al Comune, che a suo tempo li ha incassati e girati parte alla TeAm parte allo Stato: sono dei cittadini che hanno pagato e dunque la speranza non celata del sindaco D’Alberto di recuperarle alle casse comunali, tanto da farle pesare sul nuovo Per e utilizzarle come ‘acconto’ per ridurre la Tari agli utenti, è vana tanto quanto la speranza di recuperare quell’Iva. Se malauguratamente se ne appropriasse il Comune, si profilerebbe la commissione di un reato…
Infine, a chi degli utenti, toccherebbe prendere le somme? La platea dei contribuenti del 2007-2009 è difficile da ricostruire ma intanto c’è una premessa da fare: “Chi ha presentato richiesta di rimborso – sostiene Pelagatti -? La restituzione formale può avvenire soltanto in favore di chi ha presentato una regolare istanza, non scaduta tra l’altro, di recupero dell’Iva”.
Ma alla fin fine, di quali somme stiamo parlando? Fatta eccezione per i grandi contribuenti (aziende, esercizi commerciali, enti ed istituzioni), semmai come sopra abbiano fatto richiesta, la media del rimborsi potrebbe sfiorare i 30 euro a famiglia…