Popolare di Bari, in queste ore decine di querele e fascicoli d'inchiesta aperti dalla Procura

TERAMO – Quello che già avevamo conosciuto con il crack della Tercas, si sta ripetendo con la Popolare di Bari, cioà la fila dei risparmiatori che vogliono denunciare la banca per essere stati truffati con prodotti finanziari che adesso si rivelano carta straccia. Con una sostanziale differenza: che almeno in questo caso, la Procura locale sta aprendo diversi fascioli d’inchiesta, come invece non è accaduto a Teramo (tranne che per sporadici casi e un processo complessivo che ha coinvolto chi era stato, suo malgrado, costretto a proporre prodotti d’investimento ad alto rischio).
In queste ore, infatti, decine di nuovi fascicoli d’inchiesta con l’ipotesi di truffa aggravata sono stati aperti dalla Procura di Bari sulla base di altrettante denunce che quasi quotidianamente vengono depositate negli uffici giudiziari dai risparmiatori della Banca Popolare di Bari. A quanto si apprende, ogni querela sta dando vita ad un’autonoma indagine ma tutte ipotizzano, al momento a carico di persone da identificare, lo stesso reato.
Le truffe, stando alle denunce e alla ipotesi accusatoria, si configurerebbero perché i dirigenti dell’istituto di credito non avrebbero sufficientemente informato i clienti dei rischi connessi all’acquisto dei titoli, manipolando in molti casi i questionari di profilatura dei rischi stessi, con l’obiettivo di collocare strumenti finanziari evidentemente inadeguati alle caratteristiche personali.
Questo tipo di comportamento aziendale, oggetto delle nuove indagini nella procura, ha trovato conferma, secondo l’ipotesi investigativa, anche in tre recenti sentenze della Corte di Appello di Bari che nei mesi scorsi ha confermato l’esistenza di violazioni contestate e sanzionate dalla Consob alla banca fin dal 2018. Le condotte ritenute illegittime riguarderebbero, oltre le procedure di profilazione degli utenti, anche la non adeguata motivazione sulla base della quale la banca ha stabilito di volta in volta il prezzo delle azioni e le presunte omesse informazioni da parte dell’istituto di credito sulla natura illiquida dei titoli. La banca avrebbe cioè fatto credere ai risparmiatori che stavano acquistando titoli a basso rischio e facilmente liquidabili.