Vicentini rompe il silenzio: «Subisco la decisione di un monarca ma non mollo»

TERAMO – «Sono vittima della decisione di un monarca che ha detto " si fa così", senza ricordare quali sono le regole della ‘sua’ università,  ma io non mi sento un ex per questo preparo ricorso contro questo provvedimento». Fino a oggi per lui aveva parlato una petizione popolare, poi una raccolta di firme, esponenti politici. Tutto de relato, tutto in terza persona. Oggi Carlo Vicentini, l’ex primario dell’urologia del Mazzini di Teramo, uno dei tre direttori universitari ‘silurati’ dalla Asl (gli altri due sono Calvisi e Penco) con lo ‘sconvenzionamento’ dall’Università dell’Aquila, esce allo scoperto, stuzzicato dalle affermazioni del direttore sanitario Camillo Antelli, che lo aveva definito, in sostanza, incapace nel fare scuola nel reparto e di aver monopolizzato gli interventi chirurgici, alla guida di una squadra definita dall’ex direttore del Dipartimento, "scarsi" (frase poi smentita dal diretto interessato). «Sono stato valutato da un direttore sanitario incompetente a farlo, che ha addotto motivazioni quali la mobilità passiva e una novità, l’indice di attrazione del reparto, che, conti e dati alla mano, lo smentiscono». Vicentini, al cui fianco nella conferenza stampa di oggi è intervenuta anche la professoressa Maria Grazia Cifone, la direttrice del Dipartimento di medicina clinica dell’Università aquilana, ha annunciato non solo il ricorso al Tar, deciso all’indomani della diffida a continuare l’attività assistenziale, ma anche la querela nei confronti del direttore sanitario Antelli dal quale si ritiene diffamato e danneggiato nell’immagine, di medico prima ancora che di docente universitario. «In quel reparto noi eravamo una squadra, un corpo unico – ha detto l’ex primario urologo – dagli infermieri fino a me. Per questo hanno deciso di demolirci e hanno cominciato da tempo. A gennaio avevo intuito qualcosa e allora d’accordo con la direttrice del mio Dipartimento universitario abbiamo deciso di fare un sondaggio, anonimo, della qualità percepita dagli studenti e dai pazienti: nessuna lamentela». Gli fa eco la professoressa Cifone: «Vicentini è risultato il migliore, secondo i dati valutati nel Consiglio di Dipartimento, tra i docenti responsabili di reparto a direzione universitaria». Quadro che stride con quello portato avanti dalla Asl: «Si parla di mobilità passiva – aggiunge Vicentini – ma la mobilità passiva così come l’attrazione di un reparto ospedaliero, non è determinato soltanto dalla qualità  e dall’impegno professionale dei sanitari. Prendete ad esempio il sistema di trattazione del budget: se l’azienda impone di ‘spingere’ di più per il day surgery fino addirittura all’ambulatoriale piuttosto che sui ricoveri, l’ospedale diventa non competitivo con ll privato». Vicentini ritiene che il gesto dei suoi colleghi a non assumersi la rsponsabilità di sostituirlo non è un rifiuto bensì una conferma che quella era una squadra dove ognuno aveva il proprio compito e che può garantire alcuni livelli assistenziali e non altri che sono e restano di competenza del direttore di unità complessa; così come per le percentuali di attività: «Se leggiamo gli stessi registri operatori – ha detto Vicentini – possiamo evincere che il rapporto è invece capovolto da quando sono diventato direttore…. E poi una cosa vorrei sottolineare su quanto dichiarato da Antelli. Se dice che l’attrattività del reparto è scesa ma noi dimostriamo che gli interventi sono aumentati, la differenza sapete dov’è? Che è scesa la mobilità passiva…» Dopo aver ringraziato chi ha manifestato per lui («il 95% delle persone che ho visto nelle immagini sono pazienti miei, perfino figli di quelli che non ci sono più») i partiti definiti «sponsor» ma anche quelli «che con il loro silenzio hanno fatto capire che della sanità locale non importa nulla», Vicentini ha chiuso con un riferimento a quanto appreso nei corsi sul management sanitario: «Mi hanno insegnato che i dati statistici servono per essere studiati e per programmare e migliorare, non vengono agitati come una clava sulla testa di chi si vuol punire».