Il giudice dichiara il fallimento dello storico Caffè Grande Italia

TERAMO – Serrande abbassate da questa mattina allo storico Caffè Grande Italia di piazza Martiri della libertà a Teramo. L’attività è chiusa ufficialmente per inventario, come recitano i cartelli sulle vetrine: venerdì scorso è stato infatti depositato il decreto di fallimento della società TFZ che gestisce il locale pubblico, firmato dal giudice della sezione fallimentare del tribunale di Teramo Giovanni Cirillo. Il tentativo di rimettere in sesto i bilanci della società, avviato nel novembre 2014 con la nomina, sempre da parte del tribunale, del custode giudiziario Andrea Lucchese e di un liquidatore nella persona di Gabriele Cavacchioli, non è stato compiuto. Anzi, proprio lo stato di dissesto, conseguenza dell’assenza di un fondo patrimoniale, ha indotto lo stesso liquidatore a rivolgersi al giudice perchè dichiarasse il fallimento. L’intervento del tribunale era stato provocato dal commissario straordinario della Tercas, Riccardo Sora, che aveva chiesto il sequestro delle quote di uno dei soci storici della TFZ, l’immobiliarista Antonio Zuccarini, a parziale copertura delle esposizioni di circa 6 milioni di euro nei confronti dell’istituto di credito. L’ingresso in azienda di curatore e liquidatore ha portato a una prima riorganizzazione dell’attività, con l’introduzione anche di un turno settimanale di riposo fino ad allora impensabile per l’esercizio più in della piazza centrale della città, così come a una riduzione di personale e una gestione più presente e razionale dei servizi. Evidentemente però i conti erano fortemente minati se si è arrivati a una decisione del genere. Il giudice Cirillo ha nominato il commercialista teramano Sergio Saccomandi quale curatore fallimentare, il cui primo atto è stata la chiusura dei locali del Grande Italia per l’inventario dei beni. Sarà un incontro tra Saccomandi e il giudice a far decidere per una eventuale riapertura dello storico bar in esercizio provvisorio. Lo scopo è quello di preservare i posti di lavoro, che nel periodo di maggior splendore del bar erano 30, ma soprattutto un patrimonio cittadino per la cui riapertura, alla fine di agosto del 2005, dopo sette lunghi anni, si erano battuti in tanti.