L'addio al Santuario della Madonna delle Grazie al preside Nerio Rosa FOTO

TERAMO – Tanta gente si è stretta oggi pomeriggio alla famiglia di Nerio Rosa, per salutarlo nelle esequie che sono state celebrate al Santuario della Madonna delle Grazie. Scomparso a 88 anni, il fondatore e preside per 27 anni del Liceo Artistico di Teramo, critico letterario, scrittore, storico, ha lasciato un vuoto enorme nella cultura di questa città. Accanto a feretro, seguito da tanti teramani, la moglie Irene de Albentiis e i figli Alessandro e Maurizio.
Di seguito pubblichiamo l’articolo che il quotidiano La Città ha ospitato nell’edizione di oggi, 21 maggio 2019, a firma del collega e critico letterario Simone Gambacorta, sulla scomparsa di Rosa, un protagonista della cultura cittadina.

Poteva sembrare tagliente, invece era ironico. Lo era perché era un uomo con una grande e vivace intelligenza. Pensava molto e scherzava altrettanto ed è probabilmente per questo che è difficile ricordarlo col broncio. È invece sin troppo facile ricordarne lo sguardo mobilissimo e la conversazione spedita ed effervescente. Era allegro, Nerio Rosa, il critico d’arte che se n’è andato ieri mattina presto, nella sua casa di Teramo, a 88 anni. I funerali si terranno oggi pomeriggio alle 15 nella Chiesa della Madonna delle Grazie.
Aveva continuato a essere allegro e sorridente anche negli ultimi tempi, quelli per lui più faticosi. Ma era sempre attivo, aveva sempre voglia di fare. Il vero vuoto che lascia è in realtà il pieno del suo raffinato lavoro intellettuale: un impegno quotidiano, coerente e diversificato.
Il Liceo artistico di Teramo è indiscutibilmente figlio suo e anche dopo la pensione è rimasto per tutti “il” preside. Per l’allora Cassa di risparmio di Teramo ha ideato i Dat, ossia i Documenti dell’Abruzzo Teramano, una collana di studi storico-artistici composta da sette corposi volumi, per un totale di sedici tomi. Sempre per la Tercas ha curato decine di calendari, fra i quali quelli realizzati con le fotografie di Mimmo Jodice e Fabrizio Sclocchini. In continuità con un modello ideato prima che ne divenisse direttore artistico, i calendari erano arricchiti dai testi firmati dagli esperti degli argomenti ai quali anno per anno erano dedicate le diverse monografie (perché questo erano i calendari Tercas).
Nerio Rosa fu anche tra i creatori della rivista scientifica Trimestre, che ha contribuito ad aprire l’Abruzzo a una dimensione europea. Ha firmato decine e decine di saggi critici, tra i quali spicca ancora oggi quello che forse è il suo scritto capitale, Metamorfosi ed entropia nelle sculture di Izhar Patkin. Concettualmente, la sua scrittura critica era di una precisione chirurgica ed era stilisticamente molto curata. Non perché amasse i calligrafismi, ma perché gli piaceva che le frasi “girassero” in un certo modo, che avessero un certo ritmo, una certa cadenza. Era un uomo di gusto.
Il postmoderno era il suo principale ambito di ricerca e i suoi riferimenti maggiori erano Deleuze, Lyotard, Gianni Vattimo (con il “pensiero debole”) e Omar Calabrese.
Pochi sanno che a Bologna, negli anni giovanili, aveva stretto relazioni intellettuali alte. Un padre nobile della critica d’arte come Francesco Arcangeli – erede della cattedra di Roberto Longhi all’Università di Bologna – lo volle tra i suoi più assidui interlocutori. Risalgono a quegli anni anche i rapporti con artisti come Giorgio Morandi, Pompilio Mandelli o Ilario Rossi, oppure con critici come Renato Barilli ed Ezio Raimondi.
Come critico d’arte ebbe collaborazioni con gallerie sia in Italia che all’estero (in Svizzera, per esempio) e i suoi interventi furono ospitati anche da riviste come Flash art. Era un talenti scout, adorava scoprire talenti, è una cosa che non ha smesso mai di fare.
La sua preparazione faceva tutt’uno con la sua severità, perché era molto selettivo e per nulla provinciale, e il suo essere spesso e volentieri tranchant e sprezzante altro non era se non un portato della sua schiettezza. In arte così come in altri campi, Nerio Rosa detestava la mediocrità.
Non era un laconico, ma di sé e dei suoi meriti ha detto sempre molto meno di quanto avrebbe potuto.
Simone Gambacorta