Dalla protesta sulla gru di Rebibbia al tentativo di suicidio a Castrogno

Il detenuto 45enne che lo scorso 6 agosto fu protagonista della clamorosa rivolta a Roma voleva impiccarsi nel reparto osservazione: salvato dagli agenti penitenziari, adesso è piantonato al Mazzini. Protesta il Sappe: “Noi discarica delle celle romane”

TERAMO – Dalla clamorosa protesta su una gru nel carcere di Rebibbia al tentativo di suicidio in una cella di Castrogno. A distanzza di 12 giorni torna protagonista delle cronache carcerarie Marco G., il detenuto 45enne in cella per armi, rapina e minacce, che lo scorso 6 agosto si era reso protagonista della clamorosa protesta all’interno della casa di pena romana, quando prese possesso di una gru dopo aver scavalcato due recinzioni interne al carcere, ieri è stato salvato dal suicidio dagli agenti di polizia penitenziaria del penitenziario teramano.

L’uomo, trasferito da qualche giorno, ha tentato di impiccarsi con i lacci delle scarpe annodate alla grata della finestra della cella del Reparto Osservazione. Il personale di Polizia penitenziaria, prontamente entrato in cella, gli ha salvato la vita e l’uomo si trova adesso piantonato presso L’ospedale Civile di Teramo. Il violento episodio conferma che il clima nei reparti di detenzione, e a Castrogno in particolare, è particolarmente esplosiva.

Ne ha dato notizia il segretario provinciale del sindacato autonomo degli agenti di polizia penitenziaria, Giuseppe Pallini, che torna a sollecitare “uno sfollamento del carcere di Teramo”, ed evidenzia che “nel corso delle assurde proteste, uno dei due detenuti ha quasi sradicato la porta della cella con la branda del letto“. Donato Capece, segretario generale del Sappe, esprime “vicinanza e solidarietà ai poliziotti di Teramo” ed evidenzia come sia “del tutto evidente che anche questi gravi fatti, accaduti in carcere a Teramo, sono un chiaro sintomo del malessere che si vive nelle carceri abruzzesi e per questo torniamo a chiedere pubblicamente che chi di dovere tenga in considerazione le criticità di penitenziari regionali che evidentemente non sono più in condizione di gestire le troppe tipologie di detenuti, spesso mandati qui dal Lazio, con una presenza di soggetti dalla personalità particolarmente violenta, senza alcuna possibilità di diversa collocazione all’interno della Regione. E queste – aggiunge Capece – sono anche le gravi conseguenze della chiusura del Provveditorato regionale di Pescara, per una decisione politica tanto assurda quanto dannosa. Ora l’Abruzzo dipende dal Lazio e, come la segreteria regionale del Sappe ha denunciato in più occasioni, l’ufficio regionale di Roma si sbarazza dei detenuti più pericolosi e problematici mandandoli nella regione. Non a caso, buona parte dei gravi eventi critici violenti che accadono vedono protagonisti proprio detenuti assegnati da Roma. Insomma, l’Abruzzo e le sue carceri sono diventate la discarica sociale del Lazio. Questo è inaccettabile! E siamo sconcertati dall’assenza di provvedimenti in merito contro chi si rende responsabile di queste inaccettabili violenze, determinando quasi un effetto emulazione per gli altri ristretti violenti. Aggressioni, colluttazioni, ferimenti contro il personale, così come le risse ed i tentati suicidi, sono purtroppo all’ordine del giorno. E’ per noi importante e urgente prevedere un nuovo modello custodiale. È necessario intervenire con urgenza per fronteggiare le costanti criticità penitenziarie”.