SILVI – Una casetta di legno sul lungomare, di quelle utilizzate d’estate per la vendita di oggetti per il mare: è stata questa la "gabbia" (nella foto) all’interno della quale un 34enne del posto, afflitto da problemi di stupefacenti e alcol, è stato rinchiuso per un mese, legato da una catena a un palo della recinzione esterna alla casetta. A ridurlo in schiavitù sarebbero stati la madre, S.M., 50enne di origini algerine e il suo convivente, C.C. (50) di Silvi, per impedirgli di fare ancora uso di stupefacenti e di ubriacarsi. Alla prigione del giovane sono arrivati i carabinieri della stazione di Silvi, dopo la segnalazione di alcuni passanti che erano stati attrattti dai lamenti, simili a latrati di cane, provenienti dalla piccola struttura in legno. Dopo aver sfondato la porta d’ingresso, i militari si sono trovati dinanzi a una situazione drammatica, molto simile alla scena di un film dell’orrore: il giovane era in terra, rannicchiato e circondato da escrementi, in condizioni igieniche critiche. Al suo fianco, un "pappagallo" di quelli utilizzati nei reparti ospedalieri per i bisogni fisiologici dei pazienti e un bacinella senza più acqua ormai. Una delle caviglie era serrata da una catena assicurata con un lucchetto al palo. S.P., queste le iniziali dell’uomo, è stato subito assistito, liberato dalla catena e trasferito all’ospedale di Atri per le necessarie cure. Secondo quanto accertato dagli investigatori, era la stessa madre a portare quotidianamente da mangiare, evitando così che morisse di fame, proprio come si fa con un cane legato nella sua cuccia. La donna e il suo convivente sono stati rintracciati e arrestati con l’accusa di sequestro di persona e maltrattamenti in famiglia.
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