Crac Dimafin e Tercas, fallimento senza fine: altri 44 immobili sequestrati, nei guai anche due commercialisti

ROMA – Gli inquirenti lo definiscono l’epilogo del ben più consistente filone di indagini che ha riguardato il crac della Tercas e le plurime bancarotte fraudolente aggravate del Gruppo Dimafin dell’imprenditore laziale Raffaele Di Mario, che all’interno dell’istituto di corso San Giorgio aveva un canale preferenziale, inchiesta che da allora ha portato al sequestro in tutto di 525 milioni di euro. Oggi ci sono tre le persone destinatarie dei sequestri di 44 immobili, terreni, partecipazioni societarie e somme di denaro, che sta eseguendo il Nucleo speciale Polizia valutaria della Guardia di finanza, a seguito di un provvedimento emesso dal gip di Roma. Gli altri due sono commercialisti con studi a Roma e Città di Castello. Gli immobili sono stati sequestrati nelle province di Roma, Isernia e Perugia ed erano nella disponibilità degli indagati, ritenuti i principali responsabili del dissesto finanziario di due aziende, fino alla concorrenza di quasi euro 3,8 milioni, a fronte di un passivo fallimentare quantificato in circa 8 milioni di euro.

Nell’ambito delle precedenti operazioni, che hanno condotto ai processi in corso nei confronti dei vertici dell’istituto di credito e dello stesso imprenditore, era stato rilevato – spiega la Gdf in una nota- «come il sodalizio tra Di Mario ed il direttore generale di Tercas, Antonio Di Matteo, aveva consentito al primo di accedere indebitamente a sostanziose iniezioni di credito per finanziare le proprie iniziative immobiliari ed al secondo di esercitare il controllo della Banca sammarinese Smib anche attraverso la partecipazione detenuta, tra gli altri, dallo stesso Di Mario. Nella prima fase dell’indagine, infatti era stato dimostrato come, nel 2007, la Banca Tercas avesse acquisito la Smib occultando l’operazione alla Banca d’Italia: l’istituto sammarinese sarebbe stato successivamente utilizzato per erogare ulteriore credito a Di Mario e come terminale per la distrazione di somme rinvenienti dai fallimenti delle sue aziende». Ne era scaturito il dissesto della banca teramana e la distrazione di circa 170 milioni di euro dalle numerose aziende, poi tutte fallite, del gruppo Dimafin. Condotte che avevano portato all’arresto di Di Mario e Di Matteo e al sequestro, prima per il dissesto della Banca Tercas e successivamente per le numerose bancarotte imputate al Di Mario, pari a un totale di 522 milioni di euro circa.

Le nuove indagini riguardano il fallimento di due nuove aziende che Di Mario, già fortemente esposto col sistema bancario nazionale per centinaia di milioni e gravato da un passivo fallimentare di oltre 250 milioni, avrebbe costituito per sottrarre iniziative immobiliari di pregio dalle pretese dei creditori, incassarne "in nero" le caparre da parte di chi si era impegnato all’acquisto, ovvero accedere a nuova finanza presso la banca sanmarinese Smib, oggi in liquidazione coatta amministrativa. Raggiunti gli scopi, le due società – costituite "con la compiacenza di un altro ex dirigente di Banca Tercas e prestanomi"- erano state poi progressivamente depauperate di tutte le attività di cui disponevano fino alle dichiarazioni di fallimento. I due commercialisti indagati – uno dei quali consigliere presso la Smib – avrebbero occultato le scritture contabili delle società e così reso difficile la ricostruzione dei flussi finanziari dall’Italia verso San Marino e viceversa. Gli approfondimenti bancari eseguiti dai finanzieri del Nucleo Valutario, anche mediante l’analisi di segnalazioni
antiriciclaggio, hanno consentito di individuare la distrazione di circa 3,2 milioni di euro a favore di una società sanmarinese di fatto riconducibile all’imprenditore Di Mario, nonché la distrazione di 560 mila euro dai conti correnti aperti in San Marino da una delle società fallite: somme ricevute a titolo di caparre e di pagamenti di affitti di appartamenti siti a Roma. Secondo la Gdf, è stato anche dimostrato che un finanziamento di oltre 2 milioni di euro erogato dalla Smib, all’epoca dei fatti gestita proprio da Di Matteo, ha consentito di costituire una delle due "scatole vuote" utilizzate per schermare trasferimenti di somme dalle società in dissesto del gruppo Dimafin a favore di conti correnti personali del bancarottiere.